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La Geologia Planetaria, nata agli inizi degli anni ’60 sulla spinta del programma di esplorazione NASA della Luna e dei pianeti, studia l’evoluzione geologica dei pianeti di tipo terrestre (con crosta solida) attraverso un approccio multidisciplinare e con dati acquisiti principalmente da remoto.
Il geologo planetario ricostruisce i processi geologici attuali e passati di pianeti, lune, asteroidi, comete, attraverso lo studio delle caratteristiche morfologiche, stratigrafiche, strutturali e litologiche delle successioni rocciose osservate attraverso dati multispettrali e multisensore acquisiti da piattaforme remote o direttamente in situ con sistemi robotici comandati da stazioni terrestri.
Selfie del rover Curiosity (NASA) sulla sfondo del Murray Buttes su Marte nel settembre 2016. Il rover e’ atterrato nel cratere da impatto Gale nel 2012. (credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS)
Informazioni fondamentali per la modellizzazione dei processi endogeni dei corpi celesti vengono dallo studio delle meteoriti raccolte sulla Terra, creando una forte sinergia con gli studi mineralogici e petrologici di questi frammenti di altri corpi celesti.
Esposizione di meteoriti presso il Museo di Scienze Planetarie di Prato (http://www.museoscienzeplanetarie.eu)
La geologia planetaria inoltre fornisce un supporto imprenscindibile per gli studi di astrobiologia, fornendo le competenze dell’approccio geobiologico nello studio di tracce di vita alla micro- e nano- scala nel record geologico.
Campionamento dei depositi sulfurei nell’area vulcanica del Dallol (Etiopia) durante la spedizione di Europlanet 2017, alla ricerca di organismi estremofili che possono fornire informazioni utili per lo sviluppo di vita in altri pianeti. (© Barbara Cavalazzi, Universita’ di Bologna)
Il geologo planetario ha anche un ruolo importante nell’addestramento degli astronauti in preparazione delle future missioni umane. Cosi’ come avvenuto con la NASA per il programma Apollo, gli astronauti europei attraverso il progetto Pangea (http://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Caves/What_is_Pangaea), affrontano un training geologico sulla Terra, per poter essere in grado di raccogliere campioni di rocce significativamente diverse sulla superficie di un altro pianeta.
Gli Astronauti dell’ESA, Samantha Cristoforetti e Matthias Maurer, osservano un campione di roccia durante un training geologico nel cratere da impatto di Nördlingen (Germania) organizzato per il programma di addestramento PANGEA (credits: ESA–R. Shone)
Il geologo planetario deve possedere delle profonde conoscenze di geologia terrestre da poter applicare allo studio dei processi evolutivi in altri pianeti. In questo ambito e’ fondamentale lo studio di analoghi terrestri, siti dove si possono avere condizioni ambientali o processi geologici con caratteristiche simili a quelli planetari.
Un esempio eclatante fu il confronto tra alcune morfologie canalizzate osservate agli inizi degli anni ‘80 su Marte e l’associazione con i processi catastrofici delle Channeled Scablands del Columbia Plateau (Baker, 1982, The Channels of Mars) in seguito al rapido scioglimento della calotta glaciale. E’ stata questa una prima, consolidata, indicazione della presenza di acqua nel passato di Marte.
Esempio di network fluviali su Marte (sinistra), Terra (centro) e Titano (destra) Credit: Benjamin Black, adapted from images from NASA Viking, NASA/Visible Earth, and NASA/JPL/Cassini RADAR team.
Il geologo planetario deve essere in grado di interagire con team multidisciplinari comprendenti ingegneri, fisici, astronomi e quindi deve possedere una ampia visione e preparazione.
Di particolare importanza sono le tecnologie di trasformazione dei dati digitali e la elaborazione di carte in ambiente GIS combinando dati acquisiti da diversi tipi di sensori in similitudine con quanto avviene per il telerilevamento terrestre.